I NOSTRI DISAGI SONO I MATTONI DI UNA COSTRUZIONE MISTERIOSA: LA CEFALEA”

La cefalea è un sintomo diffusissimo che tutti, più’ o meno frequentemente, abbiamo sperimentato e si manifesta con un dolore localizzato al capo. Le tipologie più frequenti sono tre. La cefalea tensiva, che si caratterizzata da un dolore diffuso, più spesso occipitale (con un senso di tensione) e senso di peso frontale o una fascia stretta intono alla testa. Nel linguaggio di chi soffre di questo disturbo si ritrovano spesso frasi del tipo: “bisogna avere la testa sulle spalle”, devo essere un punto di riferimento”. Si narra, nella mitologia, che Atlante fu condannato da Zeus a sostenere la volta celeste. Padre delle tre esperidi, egli non poteva venir meno al proprio compito. Atlante, è il nome dato alla pima delle vertebre cervicali che sostengono il capo. Nell’emicrania, con o senza aura, il dolore è pulsante e si estende dalla regione frontale a quella temporale del capo, si accompagna a ipersensibilità a suoni e luci e, talora nausea e vomito (in quella con aura compaiono anche disturbi visivi). Compare soprattutto al risveglio. Nella cefalea a grappolo il dolore, intenso e profondo, colpisce solo una parte della testa e si localizza nella zona orbitale (intorno agli occhi) e temporale. Gli attacchi sono ravvicinati, spesso a ore fisse, intervallati da periodi, anche prolungati, di completo benessere. Riguarda tutte le età dopo i 10 anni, con un picco tra i 30 e i 50 anni e si manifesta a cicli di circa 6 settimane, con ricorrenza annuale (1-2 attacchi al giorno), spesso interrompe il sonno. La cefalea ci racconta qualcosa di noi, utilizzando il linguaggio del corpo, simbolico ed analogico, che differisce profondamente dal linguaggio verbale. Ricordate che l’Anima si esprime con codici propri, mi riferisco all’Anima come la “psiche” dei Greci, come “il corpo immaginale “dei neoplatonici…un’immagine capace di riassumere tutte le caratteristiche dell’individuo. Eraclito, di questo nucleo originario scriveva che: “per quanto in profondità l’intelletto, ossia la ragione, il pensiero si spinga, non potrà mai raggiungere i confini dell’Anima. I codici dell’Anima, son quindi il più essenziale, se non l’unico “faro” a cui fare riferimento nella nostra vita. In chi soffre di cefalea, sta accadendo qualcosa di importante, la dimensione della coscienza, della vigilanza, del pensiero, dell’analisi, stanno prendendo il sopravvento e l’equilibrio psicofisico della persona è fortemente sbilanciato in questo senso. Gli animali “sentono” e quel sentire si muovono nel mondo. Che cosa fate quando dovete prendere una decisione? I miei pazienti generalmente mi rispondono: “ci penso, ci ragiono”. Ecco, proprio così, ci siamo allontanati dal nostro sentire, da quella parte di noi che potremmo definire il seme, l’essenza, che sa esattamente dove vuole andare e cosa vuole fare, a patto però che gli lasciamo la possibilità di esprimersi. I disagi, non vanno mai in nessun caso, allontanati il prima possibile, c’è più sapere in un attacco di cefalea che nelle spiegazioni che possiamo dargli. Fare posto nella nostra coscienza ai disagi, ai pensieri intollerabili, alle immagini che ci disturbano, significa entrare nel mondo dell’Anima, non scordate mai queste parole: “qualcosa dentro di me sta producendo l’essere che sono!”, e lo sta producendo con le sue regole sconosciute. I nostri disagi sono i mattoni di questa costruzione misteriosa che siamo. Per questo motivo, la prima cosa da fare, è accogliere il disturbo, non ostacolarlo. Lo sconosciuto che ci abita, ci manda l’ansia, la cefalea, la colite, la dermatite, l’insonnia, l’impotenza…e noi dobbiamo osservare il disturbo come un panorama che si apre al nostro occhio interno. In questa prospettiva, si comprende che la cefalea, in questo caso, non è un nemico, ma rappresenta le nostre risorse interiori che bussano alla porta: vogliono essere portate in campo. I malesseri servono a spazzare via le false idee che abbiamo di noi stessi e che bloccano la nostra vita, la ingabbiano. Il cosiddetto “mal di testa”, è il sintomo tangibile di qualcosa di più profondo, di un’energia che vuole venire alla luce. Se ci fate caso, quando abbiamo un attacco di cefalea, la nostra attività mentale si trova ad essere inibita alla radice: “non riusciamo a ragionare”. Pensare troppo, ci fa male. Se cogliamo “le parole del corpo” ci accorgeremo che il disturbo ci offre la possibilità di “staccare la spina” dai pensieri. Esemplare in questo senso “il rito del cefalalgico”: sta al buio, con una fascia che stringe la testa, nella più assoluta immobilità. Realizza così inconsapevolmente, il tentativo di distaccarsi da una corteccia-luce troppo dominante sulla sfera emotiva. Il dolore è un meccanismo di difesa, grazie al quale la persona sofferente può tornare a “contattare” le altre parti e funzioni del corpo, che non sono il pensiero. Quando emerge un disturbo psicosomatico, la prima domanda che dobbiamo porci è: “che cosa mi sono dimenticato di me stesso?”. In questa chiave, non si tratta mai di problemi esterni da risolvere, una rosa è una rosa: “la vera malattia è dimenticarsene!”.
Dott.ssa Fulvianna Furini
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